Ieri ho portato in scena una mia brevissima opera teatrale, con il prezioso aiuto alla regia di Edoardo Ferraro – che è mio caro amico e collaboratore.
E niente, a me i teatri pieni di gente alla cinque del pomeriggio regalano sempre qualche speranza – a prescindere da tutto il resto che si può dire, non dire, o come vi pare.
L’anno scorso ho scritto uno spettacolo perché non sapevo se fosse giusto oppure no continuare a generare vita in un mondo che sembra saper parlare solo di morte. Quest’anno non volevo rendervi partecipi dei miei dubbi, ma semplicemente mi piaceva fare insieme a voi un passo indietro, in quel momento dove saremmo potuti non essere e invece siamo stati; in quell’attesa lunga nove mesi in cui sono sicuro che alla fine ognuno abbia ascoltato la sua musica e se ne sia venuto fuori con la propria vita. La musica, ho pensato. Allora ho scritto “In Utero”, questo breve spettacolo teatrale che ci teneva a essere solo sensoriale – ché non trovavo le parole per dire tutto questo e non credo ce ne siano di adatte – e nello scriverlo mi sono reso conto che stiamo diventando molto poco musicali e mi sono dovuto isolare e ascoltare solo musica per qualche giorno per ritrovare quel qualcosa che non saprei spiegarvi a parole ma c’è e dovremmo imparare a riappropriarcene. Ma questa è un’altra storia e fa parte della vita cosciente. Ieri abbiamo cercato di raccontare la vita che c’è stata anche senza ricordarla, quando sentivamo qualcosa ma non lo capivamo, quando desideravamo qualcosa ma non la conoscevamo, quando aspettavamo qualcosa senza saperlo.
Che poi – adesso che ci penso – è anche la mia vita attuale.
09.05.2016